Stiamo a pezzi, ma è una sensazione fantastica!”

La capacità di sentirci connessi agli altri è ciò che dà uno scopo alla nostra vita e ci fonda a livello neurobiologico.

In questo senso, la vergogna è percepita come la paura della disconnessione: “c’è qualcosa nella mia vita che, se verrà scoperta dagli altri, farà sì che non mi meriterò più il rapporto con loro?”

Alcune caratteristiche della vergogna possono aiutarci a comprenderla meglio:

  • è universale: tutti la proviamo, e chi non la prova non ha capacità di empatia e connessione;
  • nessuno ne vuole parlare, ma meno ne parli e più ne hai;
  • poggia sul sentimento di “non valere abbastanza” (per es. non sono abbastanza bello, ricco, intelligente etc.);
  • maschera la vulnerabilità: per entrare in relazione con gli altri dobbiamo fare in modo di essere visti (nascondendo però le nostre imperfezioni).

Ci sono persone che hanno un senso di dignità e appartenenza abbastanza solido da credere di meritarsi amore; mentre altre si domandano continuamente se sono all’altezza e hanno difficoltà con il senso di appartenenza, avendo paura di non meritarsi la connessione con gli altri.

La connessione è la conseguenza dell’autenticità, cioè la volontà di abbandonare il sé ideale per essere se stessi, presentarsi all’altro con il coraggio di essere imperfetti.

Coraggio viene dal latino “cor”, cuore: ciò che serve a raccontare la storia di chi siamo, senza paura di mostrare le imperfezioni che inevitabilmente abbiamo e ci rendono unici.

L’accettazione completa della propria vulnerabilità significa considerarla né positiva né negativa, ma necessaria: perché ciò che ci rende vulnerabili ci rende unici.

Per convivere con essa è necessario smettere di controllare e prevedere.

La vulnerabilità infatti, se da un lato è il cuore della nostra paura, della vergogna e della lotta per la dignità, dall’altro è anche la culla della gioia, della creatività, del senso di appartenere a un genere umano accomunato dalle stesse caratteristiche fondamentali.

Infatti, rispetto al modo in cui viviamo la vulnerabilità, siamo accomunati da una serie di comportamenti:

  • Noi addormentiamo la nostra vulnerabilità: per affrontarla la scacciamo.

Non possiamo scegliere di sopprimere le emozioni in modo selettivo, ad esempio bevendo un paio di birre per non sentire la frustrazione.

In questo modo creiamo dei circoli viziosi che ci generano impotenza:

sopprimendo i sentimenti negativi addormentiamo anche la gioia, la gratitudine e diventiamo insensibili alla felicità → stiamo male e cerchiamo una ragione → ci sentiamo vulnerabili e mettiamo in atto comportamenti non salutari (alcol, cibo, shopping compulsivo, uso compulsivo dei social etc)….e il ciclo ricomincia.

  • Noi tendiamo a rendere certo tutto ciò che è incerto e non controllabile.

Più abbiamo paura, più siamo spaventati, così ci chiudiamo evitando il dialogo e biasimandoci, un modo per scaricare dolore e disagio che però aumenta il nostro senso di solitudine.

  • Siamo perfezionisti e tendiamo a trasmettere questo tratto anche ai bambini, generando in altri esseri umani quel senso di inadeguatezza nell’essere se stessi.

Il nostro compito è invece quello di farli sentire meritevoli di amore e appartenenza così come sono, con le loro imperfezioni.

  • Facciamo finta che i nostri comportamenti non abbiano effetto sugli altri e su di noi, determinando così un distaccamento dai nostri valori, elemento chiave nella percezione di soddisfazione della propria vita.

E’ utile quindi distinguere la vergogna dalla colpa.

La prima riguarda il proprio io (“sono sbagliato”), la seconda riguarda il comportamento (“ho fatto qualcosa di sbagliato”).

La vergogna è infatti altamente associata a comportamenti di dipendenza, depressione, violenza, aggressività, bullismo, suicidio, disturbi dell’alimentazione; mentre la colpa è associata ad esse in modo inversamente proporzionale: la capacità di usare qualcosa che abbiamo/non abbiamo fatto contro ciò che vogliamo essere è incredibilmente adattabile (ma scomoda).

Per avere un senso maggiore di autenticità nella nostra vita, possiamo cercare di

  • lasciarci osservare profondamente e in maniera vulnerabile;
  • amare con tutto il cuore senza paura, anche se non esistono garanzie;
  • essere grati e gioiosi anche nel momento del terrore, perché sentirsi vulnerabili significa essere vivi;
  • credere di essere abbastanza, perché ciò equivale a smettere di urlare e iniziare ad ascoltare, a essere più gentili con chi ci sta attorno e con noi stessi.

In conclusione,

1) Vulnerabilità non è sinonimo di debolezza

Vulnerabilità è rischio emozionale, è l’esporsi, l’incertezza, il carburante della vita quotidiana; è la misura più accurata del coraggio, è essere onesti e lasciare che gli altri ci vedano. E’ generatrice di innovazione, creatività e cambiamento…e adattarsi al cambiamento è vulnerabilità.

2) Parlare della vergogna, entrarci e cercare la nostra strada la rende più gestibile

La vergogna è quella cosa che ti dice che non sei all’altezza.

Essa implica due cliché:

  • la paura di sopravvalutarsi e ricevere reazioni giudicanti, per esempio “chi ti credi di essere?”;
  • la sottovalutazione e il non sentisi mai abbastanza buoni.

La vergogna cresce con la segretezza, il silenzio e il giudizio, e l’empatia è il suo antidoto.

Anche io” sono le parole che la stemperano e per superarla dobbiamo inevitabilmente passare attraverso la manifestazione della nostra vulnerabilità.

3) La vergogna è organizzata per genere, ma è uguale per uomini e donne

Per le donne, vergogna è fare tutto in modo perfetto e non mostrare mai la fatica, e quindi costruire una rete di aspettative impossibili da soddisfare e un senso di competizione rispetto a ciò che dovrebbero essere.

Per gli uomini, vergogna è debolezza che non deve essere percepita, quindi ipervalutazione dell’importanza del lavoro, dello status sociale e uso della forza a scapito delle emozioni, che vengono anzi controllate.

L’illustratrice inglese Gemma Correll ha fatto dell’espressione della propria vulnerabilità il suo punto di forza.

L’autrice inglese ritrae in modo ironico e spesso sarcastico situazioni della propria vita quotidiana e battaglie con se stessa.

Dalla difficoltà a rimanere concentrata durante una lezione di yoga, di socializzare a una festa, fino a quella di convivere con la depressione, l’ansia e l’ossessione.

Alcune persone che infatti ne soffrono trovano che il senso dell’umorismo e la condivisione con gli altri siano un buon antidoto alle sfide quotidiane che tali disturbi comportano.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della salute mentale, nel 2015 Gemma ha promosso una campagna per la Mental Heart America, Mental Illness Feels Like, in cui raffigura col suo stile personale le battaglie nella convivenza con diverse malattie mentali.

Sitografia

www.ted.com

  • Brené Brown, The power of vulnerability.
  • Brené Brown, Listening to shame.

www.pinterest.it

www.gemmacorrell.com