“La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servitore ma ha dimenticato il dono”. Albert Einstein
La nostra mente ci invia continuamente avvertimenti, che si manifestano attraverso pensieri e immagini sul passato (memorie storiche e ricordi) e sul futuro (fantasie, immaginazione di scenari futuri). Come mai?
Perché in base alla memoria delle esperienze passate, ci permette di scegliere i comportamenti futuri diminuendo la probabilità di sbagliare.
Questa sua caratteristica ci ha permesso di evolverci.
I nostri antenati, prima di entrare in una caverna, ricevevano gli avvertimenti della mente attraverso ricordi di esperienze vissute in prima persona o da altri (ad esempio immagini di orsi addormentati in fondo alla caverna), evitando quindi di entrarci e di rischiare la pelle.
Dopo 100.000 anni di evoluzione la nostra mente non ha smesso di inviare avvertimenti e non smetterà mai, perché è stata progettata per evitare di farci uccidere.
Al giorno d’oggi i pericoli continuano ad esserci, ma hanno cambiato sembianze.
L’uomo del ventunesimo secolo non deve proteggersi da tigri dai denti a sciabola, ma da altri tipi di rischi: l’esser considerati incapaci, non abbastanza belli, intelligenti, dei buoni genitori, dei bravi studenti, dei buoni amici, etc.
Ad esempio, in un contesto di lavoro impariamo a prendere sul serio le scadenze perché ci ricordiamo cosa implica non rispettarle: la cattiva considerazione degli altri e, in casi estremi, il licenziamento. Sebbene queste due conseguenze non minino in modo diretto alla nostra vita come un orso, peggiorano però la nostra esistenza attraverso le emozioni che ci suscitano: la mente si è evoluta per evitare di farci uccidere, ma anche di farci soffrire.
Quindi, per riprendere l’esempio, se sto giocando con mio figlio ma sono preoccupato per una consegna di lavoro, mentre sono con lui la mia mente mi manderà così tanti avvertimenti da non riuscire a stare nel presente, minando alla qualità e pienezza del momento con mio figlio.
Dato che la mente non smetterà mai di fare cose simili, dobbiamo imparare a conviverci, a prestare attenzione a quelle utili e lasciare che vadano e vengano se non lo sono.
Per riuscire a fare questa distinzione, può aiutarci sapere che il nostro cervello è composto da due emisferi, il destro e il sinistro.
Benché essi siano uniti da un fascio di fibre, mantengono delle peculiarità che li distinguono.
L’emisfero sinistro è quello che si potrebbe chiamare un assistente personale che pensa, pianifica, giudica, confronta, crea, immagina, visualizza, analizza, ricorda, sogna ad occhi aperti e fantastica.
In esso sono conservate le memorie del passato e quindi la nostra identità, il nostro ego per come si è andato costruendo nella nostra storia (le rappresentazioni interne che abbiamo di noi stessi, che ci fanno comportare seguendo certi ruoli, copioni, storie… o “dischi rotti”).
Il sinistro guida quindi tutti i comportamenti tesi a rafforzare questa identità e a programmare azioni future che continuino a farlo. La realtà che viviamo quando siamo guidati da questo “simulatore” è virtuale, nella misura in cui non siamo nel momento presente ma dentro un copione da seguire per sentirci più sicuri.
È anche però la sede della nostra intelligenza pragmatica e del nostro linguaggio, e di quella modalità chiamata “fare per avere” (regolata prevalentemente da meccanismi neurali e ormonali dopaminergici).
Il sé che origina da questo emisfero è un po’ come una radio sempre accesa in sottofondo. Per la maggior parte del tempo è “radio sventura e depressione” che trasmette storie negative h24: ci ricorda le cose brutte del passato, ci mette in guardia verso quelle che ci aspettano in futuro e ci aggiorna regolarmente su tutto ciò che non va bene in noi.
Quindi, se siamo costantemente sintonizzati su questa radio, siamo intenti ad ascoltarla e, peggio ancora, crediamo a tutto ciò che sentiamo, avendo stress e tristezza garantiti.
Purtroppo non c’è modo di spegnere questa radio e nemmeno i maestri Zen riescono in tale impresa. Qualche volta si zittirà per pochi secondi o minuti, ma noi semplicemente non abbiamo il potere di farla smettere (a meno di non mandarla in cortocircuito con droghe, alcol, psicofarmaci o interventi neurochirurgici).
Di fatto, in linea di massima, più cerchiamo di spegnerla, più si alza il volume. L’approccio alternativo è imparare a usare questa consapevolezza: una volta che sappiamo che i nostri pensieri sono solo frammenti di linguaggio, possiamo trattarli come un rumore di sottofondo, lasciando che vadano e vengano senza concentrarci su di essi e senza farci disturbare.
Si presenta un pensiero sgradevole, ma invece di concentrarci su di esso, ne riconosciamo semplicemente la presenza, ringraziamo la nostra mente e riportiamo l’attenzione su ciò che stiamo facendo.
Ci sono vari modi per imparare a usare questa consapevolezza: la meditazione è uno di questi, ma anche la psicoterapia è un valido strumento.
Grazie ad essa le persone possono comprendere sia i propri meccanismi specifici (ad es. il proprio modo di dare significato agli eventi per come è stato appreso lungo la vita) che quelli universali (cioè quelli che regolano il funzionamento di tutti gli esseri umani), e con questa comprensione prendere le distanze dai propri pensieri.
L’emisfero destro è radicalmente diverso dal pensante sinistro: è osservante e consapevole, ma non pensa né fa…semplicemente è.
È la parte responsabile della concentrazione, dell’attenzione e della consapevolezza: può osservare o prestare attenzione ai nostri pensieri, ma non li può produrre.
Mentre il sinistro pensa alla tua esperienza (giudicandola, commentandola a priori e a posteriori), il destro la registra direttamente.
Se il destro presta troppa attenzione ai pensieri, perdiamo la concentrazione sull’azione del momento e la svolgiamo meno bene.
Anche se conosciamo tutti parole come “consapevolezza”, “concentrazione” e “attenzione”, la maggior parte di noi nel mondo occidentale sa poco o nulla del sé osservante, concetto per il quale non possediamo nemmeno un termine. Abbiamo soltanto la parola “mente”, che in genere viene utilizzata per indicare entrambi gli emisferi, senza distinzioni tra i due.
Per rifarci alla metafora della radio in sottofondo, se chiudi gli occhi per un minuto fai caso a quali pensieri e immagini compaiono e a dove sembrano collocati (di fronte a te, sopra di te, dietro di te, di fianco etc), così avrai un’idea della distanza che c’è tra te e i tuoi pensieri: il tuo sé pensante ha prodotto dei pensieri e il suo sé osservante li ha osservati.
L’emisfero destro è infatti non linguistico e percettivo, permettendoci un’ampia esperienza del presente basata sulla pienezza dei sensi e su una genuina spiritualità, che ci permettono di sintonizzarci con l’altro e provare empatia, compassione, altruismo, ma anche saggezza e intuizione. Contrapposta alla modalità del fare per avere, il destro guida la modalità dell’essere (regolata da meccanismi neurali e ormonali ossitocinergici).
Bibliografia
- Bolte Taylor, J., (2015), La scoperta del giardino della mente. Cosa ho imparato dal mio ictus cerebrale, Milano, Mondadori.
- Harris, R., (2010), La trappola della felicità, Trento, Edizioni Trento Studi Erickson S.p.A.